AS 2016/17
biblioteca Sarajevo

Prijedor è la prima città che abbiamo visitato. Fu teatro di massacri terribili, nonostante se ne sia parlato poco a livello internazionale. Durante la guerra jugoslava, precisamente nel 1992, le autorità serbe obbligarono tutti i cittadini non-serbi a stendere un lenzuolo bianco sulle finestre di casa mentre, quando camminavano per strada, avrebbero dovuto mettere una fascia bianca intorno al braccio, in modo tale da essere riconosciuti. Fu l'inizio della pulizia etnica: 31000 persone non serbe furono rinchiuse nei lager, 53000 furono vittime di persecuzioni e di deportazioni nei campi (uno dei quali situato proprio nei dintorni della cittadina). Dal punto di vista architettonico la città manca di edifici e monumenti suggestivi. La sua caratteristica principale è la presenza di murales coloratissimi che ricoprono la fiancata di palazzi. Il primo murales venne realizzato nel 1998 dall'artista italiana Paola de Manincor insieme ai bambini dei centri profughi e oggi, in suo omaggio, attraverso il concorso “Prijedor, città dei murales”, sono stati realizzati 5 murales. Tra questi uno raffigura il volto di un uomo con un cappello magico da cui spuntano edifici, ferrovie e fiumi. Si tratta di Mladen Stojanovic, una delle più importanti personalità legate a Prijedor, medico serbo, eroe partigiano durante la Seconda guerra mondiale. In suo onore la sua casa natale è stata trasformata in museo nel cui giardino è stata eretta una sua statua. La città oggi si sta risollevando dalle ferite lasciate dalla guerra e la forza sta soprattutto nei giovani che si organizzano in associazioni civili, culturali e artistiche per dare un senso al crescere e al vivere nel luogo delle proprie radici. La sera abbiamo partecipato ad una cena di comunità organizzata da un'associazione culturale multietnica locale grazie alla quale siamo potuti entrare in contatto con i giovani del posto, assaggiare i piatti tipici e assistere a balli tradizionali. Abbiamo soggiornato presso famiglie bosniache così da vivere appieno la vita di Prijedor. E' stata una bella esperienza e l'ospitalità è stata calorosa. La mattina seguente abbiamo incontrato l'Iman di Prijedor all'interno della moschea. Abbiamo dovuto adeguarci ai dettami della religione islamica che prevede l'entrata in moschea senza scarpe e il velo per le donne. Durante l'incontro l'Iman ha recitato alcuni versetti del corano e ci ha messi a conoscenza delle pecurialità della religione islamica. Siamo partiti, poi, in direzione Sarajevo.

Sarajevo è la capitale della Bosnia e la città più grande del paese. Essa simboleggia l'incontro tra l'est e l'ovest del continente europeo, l'incontro tra più culture e religioni, come testimonia una scritta che si può scorgere sulla strada principale che recita: “Sarajevo meeting of cultures” . Al suo interno hanno convissuto, e convivono tutt'ora, popoli di etnie e religioni differenti. Nel solo centro storico sono presenti i luoghi di culto di ben quattro religioni. Dopo aver visitato il quartiere turco, caratterizzato da strade lastricate, bazar, bar e negozi colorati di artigianato e dopo aver fatto visita alla moschea e al mercato coperto, ci siamo recati nel luogo in cui avvenne l'episodio scatenante della Prima guerra mondiale. Fu proprio lì che il 28 giugno 1914 un giovane serbo-bosniaco sparò all'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria-Ungheria, e a sua moglie Sofia durante una visita nella città bosniaca. Si è soliti definire Sarajevo come la città che ha aperto e concluso il Novecento in quanto, come già detto, proprio a Sarajevo scoppiò la Prima guerra mondiale e terminò l'ultimo grande conflitto europeo del Novecento: la guerra jugoslava. Sarajevo, assediata dai serbi, venne isolata e circondata dalle truppe serbe impedendo così che alla città potessero arrivare viveri e prodotti di prima necessità. Gli assediati bosniaci costruirono un tunnel alto 1,60m con larghezza media di 0,80m lungo 800m che collegava la città assediata con un'area più estesa del territorio per permettere alle riserve alimentari e agli aiuti umanitari di raggiungere la città. Abbiamo potuto visitare il “museo del tunnel” dove ci è stata spiegata la situazione di Sarajevo al tempo dell'assedio e i problemi che la gente dovette affrontare; in seguito alla visione di un documentario abbiamo potuto percorrere un breve tratto del tunnel. Successivamente ad accoglierci è stato il genereale Jovan Divjak, figura importante durante il periodo dell'assedio. Egli ci ha raccontato la sua esperienza personale durante l'assedio di Sarajevo e di come si pose a difesa dei bosniaci diventando così agli occhi dei serbi un “traditore”. Alla fine del conflitto fondò un'associazione per gli orfani di guerra. La visita della città è poi proseguita all'interno della Biblioteca nazionale di Sarajevo, divenuta anch'essa simbolo della guerra. Fu incendiata nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992 e andarono in fiamma nove decimi dei libri conservati al suo interno. La sua ristrutturazione è stata programmata in quattro fasi successive e terminò nel 2014. L'edificio presenta al piano inferiore una galleria di foto che mostrano la biblioteca prima dell'assedio, l'incendio della biblioteca e le fasi della sua costruzione. La struttura a base ottagonale presenta grandi finestre dal vetro colorato che fanno penetrare una luce arcobaleno molto suggestiva.

Mostar è stata l'ultima tappa del nostro viaggio. Appena arrivati abbiamo fatto visita al Collegio del Mondo Unito di Mostar, l'unico collegio del movimento UWC ad essere stato costruito in un paese post-conflitto con l'obiettivo di “Dotare le generazioni successive dei giovani in Bosnia-Erzegovina delle conoscenze, competenze, qualità di leadership e valori internazionali necessari per colmare le divisioni etniche ancora esistenti e rendere il loro Paese un Paese del ventunesimo secolo”. Dopo aver incontrato degli studenti stranieri che ci hanno spiegato come si svolgono le loro giornate, Tatiana, una nostra ex-compagna di classe che ha deciso di trascorrere la quarta e quinta superiore in questo collegio, ci ha guidato nella visita della città. Mostar significa “ponte vecchio” infatti deve il suo nome al simbolo della città: il ponte Stai Most, che collega la città vecchia, Stari Gard, croata, con la parte bosniaca. Anche Mostar, come Sarajevo, è una città multiculturale nella quale convivono croati e bosniaci. Fino allo scoppio della guerra di Bosnia Erzegovina musulmani e croati avevano convissuto tranquillamente, occupando i primi la parte a est dello Stari Most e i secondi quella a ovest. I croati bosniaci, durante un'offensiva, bombardarono il quartiere musulmano della città, provocando anche la distruzione del ponte, la cui ricostruzione avvenne solamente dieci anni più tardi nel 2004. Oggi, nonostante il conflitto sia terminato, l'ostilità tra croati e bosniaci è ancora presente e percepibile all'interno della città. La funzione del collegio UWC è anche quella di creare un contatto tra musulmani croati e bosniaci. I segni della guerra sono ancora presenti e ben visibili, infatti camminando per le vie si possono osservare palazzi bombardati ed edifici con pareti sventrate. Il nostro soggiorno si è concluso con una serata in un locale suggestivo in compagnia degli studenti del collegio.